Museo del Paesaggio Verbania
Description
Nato come “Museo storico artistico del Verbano e delle Valli adiacenti”, è ufficialmente inaugurato il 19 settembre 1909, con una “Mostra Storico Artistica Regionale” ospitata nelle sale dell’antica Casa Viani, messa a disposizione dal Comune di Pallanza. Presto trasferitosi nelle sale dell’Asilo Comunale, il Museo trova la sua definitiva collocazione nel 1914 presso la sede di Palazzo Viani Dugnani, di proprietà comunale. In questa occasione cambia anche l’intitolazione dell’istituzione, che diventa “Museo del paesaggio”: con il termine “paesaggio” il fondatore Massara intente “non il cliché stereotipo dei panorami naturali, ma l’aspetto intimo e profondo e continuamente mutabile sotto l’impronte della vita umana, della visibile scena del mondo”[3]. Tra le prime iniziative ideate da Antonio Massara c’è la Galleria d’arte del Paesaggio, destinata a ospitare vedute del territorio realizzate da artisti ottocenteschi e contemporanei, la cui formazione è favorita da alcune importanti donazioni e dal mecenatismo di alcune importanti figure, tra le quali Marco De Marchi[4].
Dopo un periodo di crisi che segue la morte del fondatore, l’attività del Museo riacquista vigore verso la fine degli anni trenta. Dopo la morte di Paolo Troubetzkoy (1938) e rispettando la volontà dell’artista, i suoi eredi donano al Museo tutte le opere conservate nello studio parigino di Neuilly-sur-Seine e in quello alla Cà Bianca di Suna[5]. Nel 1939, con la nascita della città di Verbania, il Museo acquisisce le opere d’arte già conservate nella Sala Storica Intrese, tra le quali diversi lavori di Luigi Litta e di Daniele Ranzoni[6].
Un’altra stagione di crescita e rinnovamento investe il Museo del paesaggio a partire dagli anni sessanta, grazie alla stretta collaborazione che si instaura con la Soprintendenza alle Gallerie del Piemonte, guidata da Noemi Gabrielli, e soprattutto grazie a un nuovo gruppo di volontari, animati da Gianni Pizzigoni, che dal 1972 è incaricato dal Comune di Verbania di riorganizzare l’istituzione[7]. Da questo momento il Museo organizza annualmente importanti esposizioni e cura pubblicazioni dedicate ad artisti locali e no, approfondendo in maniera sempre più incisiva il legame tra il territorio e le collezioni del Museo.
Nel frattempo le collezioni seguitano ad arricchirsi. Nel 1961 giungono al Museo i materiali archeologici scavati a Ornavasso nell’ultimo decennio dell’Ottocento da Enrico Bianchetti[8]. Nel 1979 Egle Rosmini, compagna di Arturo Martini, offre cinque sculture dell’artista proponendo inoltre l’acquisto di un cospicuo numero di opere, che viene portato a termine grazie a un contributo regionale l’anno successivo. Nel 1980 giungono anche le opere di Giulio Branca, nativo di Cannobio, donate dagli eredi dell’artista. Diciannove dipinti di Mario Tozzi entrano a far parte delle collezioni nel 1996, donate dal fratello del pittore sulla scorta del successo della mostra dedicata all’artista l’anno precedente.
Nello stesso anno la pittrice Elide Ceretti dispone, nel suo testamento, il lascito al Museo di tutte le sue opere (più di novecento dipinti) e il complesso della sua abitazione, perché diventi uno spazio didattico[9]. Dopo la morte dell’artista, Casa Ceretti è ristrutturata e diventa la sede del Museo destinata agli eventi espositivi legati al contemporaneo, alle residenze d’artista e a diverse attività laboratoriali e di sperimentazione e ricerca artistica.
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